Recensione
Una originale «storia della Fisica» raccontata attraverso interviste immaginarie a Galileo, Newton, Einstein, Bohr e Heisenberg. Ogni intervista è preceduta da una biografia essenziale dello scienziato protagonista. Non si tratta di un «testo di Fisica», ma neppure di una divulgazione superficiale. Attraverso la vivacità delle domande e delle risposte si riesce a evidenziare lo sviluppo storico e concettuale della fisica, pur evitando ogni approfondimento tecnico (le formule matematiche, per esempio, sono molto rare). Per evidenziare meglio le caratteristiche di questo saggio esaminiamo in particolare le prime due interviste, quella a Galileo, e quella a Newton, il cui contenuto è più accessibile anche per chi non ha una grande conoscenza della Fisica.
Nell’intervista a Galileo si comincia dal problema della rivoluzione copernicana, lasciando saggiamente sullo sfondo il problema del processo, che avrebbe distolto l’attenzione dall’ambito più specifico, quello scientifico. In realtà Galileo non ha prove teoriche e l’autore sposta l’attenzione sulle osservazioni sperimentali, quelle del Sidereus Nuncius, che mostrano, attraverso la scoperta dei satelliti di Giove, che non tutto ruota intorno alla Terra. Molto abilmente, attraverso il dialogo passano la critica all’impostazione aristotelica e i nuovi principi dell’indagine fisica, quelli del metodo sperimentale. Sempre partendo dall’ipotesi che la Terra si muova, le risposte di Galileo in difesa del sistema copernicano portano al principio di composizione dei movimenti, a quello di inerzia, e a un nuovo modo di impostare il problema della caduta dei gravi.
Anche nell’intervista a Newton si scorge lo stesso metodo: si accenna solo (come per il processo nel caso di Galileo) alla diatriba con Leibniz sulla paternità dell’introduzione del calcolo infinitesimale, che andava comunque citata, per non distrarre dal tema principale: la teoria della gravitazione. Attraverso le domande vengono ricostruiti i passaggi che hanno portato Newton a introdurre la forza gravitazionale come una forza universale. Prima i dati sperimentali di Tycho Brahe sul moto apparente dei pianeti, così precisi da costituire un banco di prova per ogni teoria; poi le leggi di Keplero, così aderenti ai dati di Tycho che ogni nuova teoria deve contenerle al suo interno. Infine i passi che hanno condotto Newton a identificare la forza che fa girare i pianeti intorno al Sole e la Luna intorno alla Terra con la forza che fa cadere i corpi al suolo sulla superficie terrestre; questa condizione porta all’ipotesi di una forza proporzionale al prodotto delle masse e all’inverso del quadrato della distanza: proprio la forza gravitazionale la cui formula si studia oggi in tutti i testi di Fisica. Infine le domande pongono in evidenza come le ipotesi di Copernico, condivise da Galileo, fossero ancora ancorate al concetto di moto circolare dei pianeti, e quindi insufficienti a spiegare i dati sperimentali; inoltre si corregge, proprio grazie alla forza gravitazionale, l’errore di Galileo sulle maree, dando l’interpretazione corretta del fenomeno.
Da queste due interviste, che riguardano la Fisica classica, è già evidente l’obiettivo (che sembra pienamente raggiunto) del saggio, cioè quello di dare una visione sintetica dei nodi dello sviluppo della scienza: a partire dalla sua origine, facendo cogliere i nessi essenziali tra i vari aspetti dell’indagine, la sua dimensione storica e il rapporto con il contesto culturale. In questo senso il saggio si inserisce su quelle opere di riflessione sulla scienza (ci sia permesso, se non è temerario, il riferimento al celebre testo L’evoluzione della Fisica di Einstein e Infeld), che vanno oltre un aspetto divulgativo, costituendo una preziosa integrazione culturale allo studio delle materie scientifiche. Un po’ più arduo seguire le tre successive interviste che riguardano due aspetti certamente complessi della Fisica moderna, la Relatività e la Fisica dei quanti.
L’intervista a Einstein riguarda ovviamente la Relatività ristretta e successivamente la Relatività generale. Si inizia, con affermazioni ancora non esplicitamente giustificate, ma provocatorie, a stupire l’interlocutore mostrando che la contemporaneità o meno, di due eventi dipende dal sistema di riferimento e raccontando il paradosso dei gemelli, e quindi affermando la relatività di tempo e spazio. A questo punto si parte con una spiegazione, che inizia dall’analisi della propagazione della luce, mezzo con cui osserviamo gli oggetti, ma con un ritardo dovuto alla sua velocità finita. Ed è proprio dalla paradossale proprietà della luce, la cui velocità non cambia, passando da un sistema di riferimento a un altro in moto rispetto al precedente, che risulta la relatività della misura di tempi e lunghezze.
Non pago di ciò l’interlocutore chiede di passare alla Relatività generale, che viene introdotta a partire dal principio di equivalenza (un sistema accelerato è localmente equivalente a un sistema non accelerato, ma in cui è presente una forza gravitazionale) per mostrare che la presenza di massa incurva lo spazio-tempo, per cui è possibile descrivere l’effetto della gravità con una nuova geometria dello spazio tempo, non più euclidea. Certamente questo punto dell’intervista contiene concetti non facilmente comprensibili senza l’uso di un esplicito formalismo matematico, anche se l’autore riesce comunque a comunicare gli aspetti essenziali per un primo approccio. Infine si passa alla struttura dell’Universo: i due argomenti sono collegati perché nel macrocosmo la forza che domina è quella gravitazionale, e quindi la Relatività generale c’entra e come! Ma qui le domande sono spunto, più che per i contributi di Einstein, per una breve ricognizione sulla cosmologia moderna: dal paradosso di Olbers, all’espansione dell’Universo (legge di Hubble), all’ipotesi del Big Bang, al problema del destino dell’Universo in funzione della quantità di massa presente (non si affronta il problema della materia e dell’energia oscure, perché è sorto molto dopo la morte di Einstein).
Le ultime due interviste riguardano l’atomo e la teoria dei quanti. A Bohr viene chiesto come è arrivato a concepire il suo modello di atomo. La domanda iniziale è occasione per un breve excursus storico, che parte dal concetto di atomo degli antichi greci (Leucippo e Democrito), a quello della moderna Chimica, fino al punto per così dire di rottura: la scoperta dell’elettrone. Da questo momento si capisce che l’atomo non è un indivisibile, ma una struttura complessa, che diviene oggetto di indagine. Si passa all’esperimento di Rutherford, e al conseguente modello planetario che risulta però instabile, perché, secondo la fisica classica, gli elettroni orbitali dovrebbero irraggiare perdendo energia e quindi cadere sul nucleo (cosa che nella realtà non avviene!). E qui entra in gioco l’ipotesi di Bohr delle orbite stazionarie, attraverso una condizione quantistica, che ha anche il merito di spiegare perfettamente lo spettro di emissione dell’idrogeno. Le domande successive chiariscono come il modello di Bohr è collegato al concetto di fotone, introdotto da Einstein per spiegare l’effetto fotoelettrico. Le ultime domande (come era accaduto per Einstein) più che sul contributo di Bohr riguardano le acquisizioni successive sulla conoscenza del nucleo atomico, composto di protoni e, in seguito alla scoperta di Chadwick (1932), di neutroni.
Il tema della quantistica, che nell’intervista a Bohr compare solo nella sua forma semiclassica, fornisce lo spunto per l’ultima intervista, quella a Heisenberg, l’autore del principio di indeterminazione. Anche in questo caso si accenna, ma si rifiuta la tentazione di approfondirla (come era avvenuto per Galileo e per Newton), a una questione molto dibattuta, ma collaterale rispetto al contributo scientifico di Heisenberg: il suo atteggiamento ritenuto ambiguo nei confronti del nazismo e la sua ipotizzata collaborazione al tentativo del Terzo Reich di costruire la bomba atomica. La domanda invece pone la questione fondamentale, cioè la differenza fra la fisica classica e quella quantistica. A questa domanda ne seguono altre che consentono allo scienziato di delineare un percorso esposto con estrema chiarezza, anche se non proprio facile da seguire. La prima differenza è che mentre nel mondo macroscopico vale la fisica classica che è deterministica, nel senso che si può prevedere esattamente il comportamento futuro dell’oggetto che si studia, nel mondo microscopico bisogna applicare la fisica quantistica, che è probabilistica, nel senso che può fare solo previsioni statistiche. Detto questo lo scienziato ripercorre le tappe dei quanti, dallo spettro del corpo nero, all’effetto fotoelettrico, già citato da Bohr, ma qui esposto più distesamente. Si passa poi al punto più difficile, quello di spiegare come le particelle mostrino un duplice comportamento, corpuscolare e ondulatorio; si fa in particolare l’esempio dei fotoni, che danno luogo all’interferenza, fenomeno tipicamente ondulatorio: come è possibile che delle particelle interferiscano? Si ricorre, e qui il lettore senza competenze specialistiche potrà un po’ perdersi, al concetto di funzione d’onda, al principio della sovrapposizione degli stati, e all’effetto tunnel. Si arriva infine al punto centrale dell’intervista: il principio di indeterminazione, motivato dallo scienziato con il fatto che non è possibile, a differenza del mondo macroscopico, osservare il mondo microscopico senza perturbarlo. Come faccio per esempio a individuare la posizione di un protone? Devo «vederlo» e quindi gli invio un fotone, che però ha un’energia non trascurabile: scoprirò dov’è il protone, ma non saprò quanta velocità (o meglio quantità di moto, prodotto di massa per velocità) ha acquistato nell’urto con il fotone: quindi (ecco una forma del principio) non potrò mai sapere contemporaneamente con estrema precisione dov’è una particella e quanto vale la sua quantità di moto. Tuttavia questo principio non ha solo un aspetto negativo: esso permette l’esistenza di «particelle virtuali» permesse proprio da questo principio che hanno una grande importanza per spiegare il meccanismo delle interazioni fondamentali. Ma qui l’intervista, e anche noi, ci fermiamo.
In conclusione, a parte una certa difficoltà dell’ultima parte, questo testo costituisce una occasione di accostarsi alla Fisica in modo comprensibile, ma anche serio (non come certe recenti divulgazioni sia pur di grande successo). Inoltre, da un punto di vista didattico, può essere un ottimo «testo consigliato» da usare a più riprese nel percorso dell’insegnamento della Fisica con un intelligente accompagnamento da parte dell’insegnante.
Recensione di Lorenzo Mazzoni
(Redazione Emmeciquadro – Già docente di Matematica e Fisica al Liceo Scientifico)